In un articolo pubblicato lo scorso 22.09.2021 avevamo fornito i dati del recente rapporto della Fondazione Etica che ha assegnato le pagelle ai comuni capoluoghi di provincia su trasparenza e buona amministrazione, ma soprattutto ha fornito i dati sulle modalità di gestione degli appalti pubblici, da cui è emerso che nel Comune di Ascoli Piceno il 93% degli appalti pubblici viene svolto con la procedura dell’affidamento diretto. Si tratta di una procedura regolata dalla legge che i cd. decreti “Semplificazione” (Decreto Legge n. 76 del 16.07.2020 aggiornato con il recentissimo Decreto Legge n.  77 del 29.07.2021) hanno notevolmente ampliato ponendosi come normativa “in deroga” al Codice degli Appalti. Di questa “deroga” infatti le stazioni appaltanti – come il Comune di Ascoli Piceno – ne stanno usufruendo in larghissima misura, con criteri ed interpretazioni estensive e spesso fantasiose. Ciò però non significa che il Codice degli Appalti ossia il Decreto Legislativo n. 50 del 18 Aprile 2016 sia stato abrogato e pertanto alcune norme fondamentali del Codice – e in particolare l’art. 30 cd. “Clausola Sociale” e l’art. 95 – anche in caso di affidamenti diretti, vanno obbligatoriamente applicate. Inoltre le Linee Guida emanate dall’ANAC – l’Autorità Nazionale Anticorruzione – sull’attuazione e l’applicazione concreta delle norme del Codice degli Appalti, seppure non vincolanti, costituiscono un compendio imprescindibile per tutte le stazioni appaltanti.

Sull’argomento pubblichiamo un odierno articolo del giornalista ascolano Francesco Di Silvestre che pone in evidenza alcuni aspetti assai controversi nella gestione degli appalti pubblici da parte del Comune di Ascoli Piceno e che illustra, normativa alla mano, le numerose criticità di un recente appalto di servizi, soffermandosi in particolare sul concetto estensivo del carattere di “infungibilità” che sembra appartenere solo a pochi fortunati o per meglio dire eletti di un club molto esclusivo.

I padroni della città